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Brescia,

domenica 5 maggio 2024

Imparzialita' del pubblico ministero e prove nascoste

Nel lungo dibattito che ha portato all’emanazione del nuovo processo penale,  del 1989, si sono inseriti due punti chiave.

Secondo il primo, il Pubblico Ministero, dovendo comunque difendere lo Stato, ed il diritto sul quale si fonda la sua autorita’, quale baluardo a garanzia dei cittadini da qualsiasi sopruso ed abuso, dovrebbe avere anche il dovere, anzi l’onere, di accertare la verita’ anche a favore dell’imputato.

L’altro punto chiave attiene alla posizione di terzieta’ del giudice, auspicata generalmente dal codice Piasapia, ma mai realizzata nella sua piena efficacia.

Questi due punti si intersecano vicendevolmente in quanto in primo luogo la terzieta’ del giudice implica che difensore e pubblico ministero siano in piena parita’.

Tuttavia e’ il primo punto che offre la sponda ad una concezione del pubblico ministero quale parte pubblica superiore, che quindi persegue il bene comune, e codice alla mano, ricerca anche le prove a discarico degli indagati.

Solo che molto piu’ spesso di quanto si possa immaginare, il pubblico ministero tiene nascoste le prove favorevoli alla persona da lui sospettata di essere colpevole proprio perche’ il suo potere glielo consente.

Qualcuno ha sostenuto che il tema delle prove nascoste non implica una piena scorrettezza professionale del pubblico ministero, e si specifica addirittura ovviamente fuori dai casi di evidente intenzionalita’ fraudolenta, come se l’intenzionalita’ fraudolenta non possa essere mai considerata come oggetto di indagine oppure non possa mai essere dimostrata.

E questo, attraverso l’applicazione della riforma voluta dal Ministro Carlo Nordio, sara’ il banco di prova della volonta’ di scardinare un sistema che si e’ imposto grazie alla convivenza tra magistratura giudicante e magistratura requirente.

E tutto questo e’ accaduto proprio con riferimento all’inutile processo, contro il Dott. Giuseppe Traversa, nel quale, essendo gli avvocati difensori in grave difficolta’, a seguito del decesso del primo difensore per tumore al cervello, e dell’impossibilita’ pratica del difensore intervenuto, in quanto erede di tutte le cause in corso del primo difensore, di svolgere un’efficace difesa.

In tale contesto, pur in presenza di un pentito, rivelatosi in seguito in piena contraddizione, emerge in modo lapalissiano come il Dott. Marco Martani non potesse non essere a conoscenza delle prove a favore del Dott. Giuseppe Traversa, o che addirittura non potesse non possederle in qualche recondito cassetto.

Quindi si assiste al passaggio del pubblico ministero da autorita’ superiore, in quanto investita del dovere di perseguire il bene comune, ricercando le prove a discarico degli indagati, ad autorita’ superiore che non fa altro che ricercare la propria verita’, contro il malcapitato indagato, nascondendone le prove a favore, che porterebbero all’archiviazione del caso, come poteva sicuramente accadere, nel giro di due o tre settimane.

Tutto cio’ porta inesorabilmente ad affermare una supremazia etica e processuale dell’accusa, che comporta, non solo una disparita’ originaria e connaturata tra le parti, portando a considerare il punto di vista difensivo in se’ come inattendibile e sospetto, ed al contempo gettando ombre sull’attivita’ del giudice, il quale e’ chiamato ad una vera e propria sfida ogniqualvolta ritenga di dover pronunciarsi in modo nettamente contrario alle tesi dell’accusa.

Quindi il giudice che assolve potrebbe essere considerato in modo sospetto.

Ed in questo frangente si inserisce la ben nota polemica relativa ai giudici che non fanno altro che copiare integralmente le tesi dell’accusa, senza esperire un primo vaglio critico. 

Proprio quello che e’ accaduto nel caso del Dott. Giuseppe Traversa, ove il giudice delle indagini preliminari ha sposato in pieno le tesi dell’accusa, senza valutarle criticamente alla luce delle prove, che a lui non sono mai state presentate, proprio perche’ nascoste.

Tutto cio’ getta una cattiva luce sull’operato del pubblico ministero, il quale ha proditoriamente omesso di presentare le prove a discarico del Dott. Giuseppe Traversa, e che non poteva non conoscere.

Cio’ pone le basi per un’eventuale denuncia per omissione di atti di ufficio, commista con il reato di falso ideologico, ed il reato di secretazione di atti idonei al proscioglimento dell’imputato in questione, tutte ipotesi di reato che adesso come adesso nessuno vorrebbe accogliere.

Tuttavia una tale denuncia potrebbe avere maggior seguito in un sistema ove la terzieta’ e la superiorita’ del giudice delle indagini preliminari possano avere un pieno riconoscimento, e cio’ avverra’ sicuramente con l’ampia riforma del diritto penale, che verra’ emanata dal Guarda Sigilli Ministro Carlo Nordio.

Certamente tale terzieta’ e superiorita’ del giudice implica che la vera natura di un pubblico ministero non possa che essere una parte al pari della parte civile e della difesa.

E quindi bisognera’ evitare di sostenere ad ogni pie’ sospinto quella caratteristica mitologica di cultura della giurisdizione, che sarebbe a fondamento dell’opinione sulla natura stessa dei pubblici ministeri, secondo la quale essa conferisca miracolosamente al titolare delle indagini un’essenza di imparzialita’.

Cio’ da un lato implicherebbe automaticamente che il giudice diventi un inutile doppione del pubblico ministero.

Ed allora si ritornerebbe al vecchio sistema del giudice istruttore di memoria inquisitoria, proprio cio’ che la riforma di Pisapia si era proposto di superare, vanamente.

Certamente prima di una qualsiasi riforma, il sistema sara’ orientato comunque al fatto che quando il pm e la polizia giudiziaria selezioneranno le intercettazioni telefoniche o ambientali relative alle persone, nei confronti delle quali hanno pervicacemente ottenuto che il giudice le disponesse, sulla base di indizi di reita’, che hanno ampiamente argomentato essere gravi ed attuali, ci puo’ essere qualcuno che seriamente immagini che la scelta delle prove sia condotta con lo spirito imparziale del giudice?

In teoria dovrebbe esserci il giudice per vagliare quelle prove, sempre che il pm le porti a sua conoscenza.

Se invece le parti fossero ad armi pari, potrebbero portare il proprio punto di vista innanzi al giudice, il quale verra’ esso in condizione di avvicinarsi il piu’ possibile alla ricostruzione della verita’ dei fatti.

Tuttavia la magistratura italiana, in seno al all’ANM ed al CSM, non accetta questa elementare verita’, e continua a ritenere prevalente la parte pubblica, che avrebbe il superiore compito, non solo di perseguire il bene comune, ma anche, codice alla mano, anche di ricercare le prove a discarico degli indagati, a meno che non ne sia gia’ in possesso.

La conseguenza della prevalenza della parte pubblica porta automaticamente a considerare il difensore come parte inesorabilmente parziale, onde il punto di vista difensivo e’ sempre da considerare inattendibile, se non sospetto, mentre il pm, come parte superiore, non farebbe altro che ricercare la verita’.

Ma cio’, corroborato dalla maggioranza delle opinioni dell’ANM e del CSM, che hanno a cuore il predominio del pm, potrebbe benissimo comportare un autentico dissidio tra pm e giudice, con la conseguenza di far passare per sospetto persino il giudice, ogni volta che ritenga di dover smentire l’accusa.

E tutto cio’ e’ stato come temeva il giudice del procedimento di mio padre Giuseppe Traversa, cioe’ riteneva che non fosse opportuno andare contro le tesi accusatorie del Dr. Marco Martani.

Si auspica quindi una riforma che comporti la piena parita’ tra difesa ed accusa, fermo restando il dovere per il pm di cercare e di presentare al giudice le prove a discolpa dell’indagato.

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