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Brescia,

domenica 5 maggio 2024

Si parla di legge bavaglio

Non esistera' mai una legge bavaglio, semmai sara' una legge che eliminera' definitivamente la gogna mediatica, causando anche la cessazione definitiva del favore verso la pubblicazione di balle colossali e anche il conseguente stop al copia e incolla operato tra pubblici ministeri e magistrati giudicanti.

Oggi pubblici ministeri e giornalisti sono  l'uno a braccetto con l'altro, l'uno funzionale all'altro,  assoluti  padroni  della reputazione di una persona.

È questo  il bene che difendono, cioe’ la possibilita’ ad libitum di decidere della reputazione delle persone.

Basta con la lagna delle leggi bavaglio, per favore.

Basta con le orde di giornalisti che si percuotono il petto al grido, contrito di dolore, per cui non potrano più informare i cittadini sulle inchieste perche’ affermano che subiranno la sottoposizione ad un bavaglio.

Ma per favore, siamo seri, sono tutte balle colossali.

Essi vogliono solo vogliono difendere il privilegio eccessivo e  padronale di voler impossessarsi delle altrui reputazioni, vicende, e carriere.

Infatti l'obiettivo di un'inchiesta a carico di un cittadino, anche se viene richiesta la detenzione cautelare in carcere, è quello di appurare se siano stati commessi reati o meno, con l'ulteriore scopo di separare un grave indiziato dalla società, che si vorrebbe proteggere.

Il fine di un'informazione di garanzia non e' quello di scatenare una gogna colpevolista e anticipatoria di colpi parziali che potrebbero benissimo, come sempre più spesso accade, dimostrarsi poi fallaci, nel valutazione delle prove processuali.

Rimettiamo dunque nel fodero la lagna a difesa di una casta che vuole rimanere padrona  del  diritto  di sputtanare la gente con la scusa che c'è un'inchiesta e  noi  ci  siamo  limitati  solo a riportarne  gli elementi.

Ma quale bavaglio.

Ma altrettanto bisogna mettere un freno al copia e incolla del gip di cio' che abbia ricevuto dal pm ed uno stop alla disinformazione.

La verità è che quanto si propone da alcuni, come Enrico Costa, rappresenta un placebo ho una carezza fin troppo leggera, contro un malcostume diventato consuetudine,  che  non  c'entra  nulla  con l'informazione, ma è più aderente ad una orientata disinformazione contra personam.  

Cosa   propone  Costa?

Di tornare al regime  della normativa  precedente  al  2017,  cioè  a quanto prescrive  l'articolo 114 del codice di procedura  penale.

In sostanza si propone che degli atti di indagine espletati dagli inquirenti nelle indagini preliminari, si possa raccontare solo il contenuto,  ma  non pubblicare per intero il documento.

Ma non cambia nulla, come si puo' evincere dal processo intentato dal pubblico ministero famoso, il 26 novembre 1993, contro Giuseppe Traversa, che la Voce di Mantova ha persino indicato come il vertice di una cupola mafiosa dedita alla creazione di fatture false.

Dal 2017 infatti, dopo un intervento dell'allora Ministro della Giustizia Andrea Orlando, a questo regime, contro cui nessuno di quelli che oggi protestano aveva mai protestato, vengono sottratte  le ordinanze di custodia cautelare in carcere, che rappresentano ancora il testo a cui i giornali continuano pienamente ad attingere.

Che sono ormai un copia incolla, che spesso per pigrizia i giudici delle indagini preliminari fanno delle richieste di custodia cautelere in carcere avanzate dai pubblici ministeri, e cio’ rappresenta un’anomalia quasi contra legem.

In sostanza, il copia incolla selvaggio e spesso acritico è ahimè il contrario di quel che dovrebbe essere, cioè un primo vaglio assai severo che un gip dovrebbe stendere su quanto raccolto sino al momento della richiesta dal pubblico ministero, che gli chiede di restringere la libertà di una persona, di cui si chiede l'arresto e la detenzione cautelare in carcere, oppure il semplice termine per la chiusura delle indagini o dell'inchiesta, in attesa del processo.

Ebbene, ormai da anni la pratica che qualcuno pretende resti tale, vuole che di quell'ordinanza si dia completa pubblicazione, anche se è provvedimento del tutto parziale perché deve ancora passare il vaglio del Tribunale del Riesame e della Cassazione.

Vaglio che molto spesso fa a pezzi tanto la richiesta, quanto l'ordinanza che le dà disco verde acritico. 

Ma sapendo che l'ordinanza è tutta pubblicabile, e  che  il gip  nell'accoglierla  non  ne  cambierà  una  virgola,  la richiesta viene scritta a mo' di genere letterario, e condita di particolari molto      gustosi, suggestivi, funzionali alla pubblicazione che non deve informare i cittadini, come capziosamente si sostiene, ma orientarne il consenso.

Un copia e incolla sul quale si fonda la concezione del ruolo di un gip che sia subordinato  al pm.

Sono piuttosto rare le occasioni in cui il gip si opponga alle richieste del pm.

Il solito  discorso,  insomma,  di  usare  la  stampa  per sostenere  se stessi e leproprie inchieste anche se queste sono molto labili e che se le si vagliasse con imparzialità e severità sin dall'inizio,  morirebbero sul nascere.

Enrico Costa si propone, giustamente, di proteggere la privacy dell'indagato.

Perché sempre più spesso l'iter è il seguente, e cioe’ che il pm fa richiesta di arresto e, guarda caso, nella richiesta finisce di tutto, come particolari gustosi ma irrilevanti penalmente, intercettazioni tagliate e decontestualizzate, addirittura elementi utili a un certo racconto colpevolista ma estranei all'inchiesta.

Il gip fa copia e incolla e dispone l'ok alla richiesta.

Scatta l'arresto per il malcapitato di turno, che si vede irrimediabilmente sputtanato su giornali e telegiornali.  

I quali nel frattempo, pur lavorando poco o niente, ma si ritrovano tanto materiale per fare un racconto colpevolista che puo' far indignare il loro pubblico di lettori e puo' far vendere loro più copie e click.

In tal modo il pm acquisisce consenso e visibilità, cioe' una notorieta' che poi magari gli consentira' persino di candidarsi in qualche partito.

Anche se poi questa prassi, considerato il rischio insito nelle elezioni politiche od amministrative, e' venuta meno, considerati gli ultimi divieti di ripresentarsi come magistrato a chi si sia messo in aspettativa per essere eletto in qualche partito.

Poi arriva il riesame che fa a pezzi la misura già attuata e pubblicizzata, ma nessuno ne scrive una riga, né ne fa menzione, e l’indagato torna libero ma macchiato per sempre. 

Poi nel proseguo del procedimento in un caso su due verrà addirittura assolto, ma per tutti i non addetti a i lavori, quindi la maggioranza della gente, resterà macchiato del sospetto di essere un criminale e se nell'ordinanza, con cui è stato buttato in cella in attesa di un processo, c'era qualche elemento di racconto suggestivo, gli resterà appicciato sulla schiena, indelebile.

Diciamo la verità, e cioe’ cosi come è il regime post 2017, rapresenta uno stimolo a mettere di tutto nelle  richieste di detenzione cautelare in carcere, soprattutto i particolari irrilevanti penalmente, ma gustosi per chi difende la tutela del proprio sputtanandi.

Altro che libertà d'informazione questa e' liberta' di disinformazione.

In questo  schema,  oltre  che  della  libertà  personale  dei cittadini, pubblici ministeri e giornalisti sono,  l'uno  a  braccetto con l'altro, l'uno funzionale all'altro, assoluti padroni della reputazione di una persona.

È questo il bene che difendono, il diritto di distruggere la reputazione delle persone, come e' accaduto al Dott. Giuseppe Traversa. 

Un  potere  dispotico.

Invece, se passasse questa proposta, come sembra che sia, visti i  numeri al Senato, i giornalisti potrebbero senz' altro raccontare che c'è un'inchiesta, che riguarda Tizio, che Tizio è stato arrestato, e raccontare anche il contenuto dell'ordinanza, ma senza quella parcellizzazione che oggi impera, ovvero tentativo di raccontare i fatti solo come i lettori si aspettano di leggerli, utile solo a distorcere alcuni elementi per viziare a proprio favore il consenso di chi guarda o legge.

Francamente, mi pare che questa riforma sia proprio insufficiente.

Io sono dell'idea che si dovrebbe anche vietare  la pubblicazione del nome e dell'immagine del magistrato che si occupa di una determinata inchiesta, e citare solamente l'ufficio che procede contro un cittadino, spersonalizzando il lavoro della procura che indaga.

Così scemerebbe quell'enorme propensione alla vanità che muove alcuni pubblici ministeri nel promuovere certe azioni eclatanti, pensate solo per sostenere il proprio protagonismo, e metteremmo forse fine ai processi per vanità.

Che sono assai più di quanto non si creda.

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